Le Piangenti, declinato al femminile, attribuendo un genere a questi lavori: il pianto come sofferenza emotiva, come rilascio di emozioni, ma che non rimanda alla debolezza femminile quanto più al lamento funebre delle prefiche nell’elaborazione collettiva del lutto che si colloca nella fase liminale del defunto tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Storicamente le donne ricoprono questo ruolo di esprimere il dolore in forme codificate e rituali. Tramite il pianto.
Le Piangenti, come in biologia vengono descritte alcune specie arboree, Salice Piangente, o Glicine Piangente. PierPaolo Pasolini nella sua poesia Il Glicine: “Tu che brutale ritorni (…) Ti sporgi sopra i miei riaperti abissi, Profumi vergine sui miei eclissi (…) La mia anima rabbia”.
L’arte di Marco De Sanctis non contiene messaggi politici, è semplicemente “testimone di un pensiero profondo, l’immagine visibile di una verità invisibile”; anche se potrebbe sembrare appiccicosa come definizione, la potremmo definire poetica, nel senso più rilevante del temine.
Marco De Sanctis, per la vetrina di Platea e tramite una reazione chimica di Sali (nitrati, solfato di rame e sali minerari mescolati a polvere di bronzo e ossidi di rame) su carta, commissiona alla pioggia lodigiana la generazione della forma delle nuvole.
Una forma che, nel suo equivalente reale, come afferma René Thom “risale verso le pregnanze di valore, fino all’estremo caos emotivo simbolico”. Contemplare le nuvole, al di là della sua connotazione di perdita di tempo, ci da una visione morfologica e dinamica dello scorrere del tempo; avere la testa tra nuvole, al di là della sua connotazione di essere picchiatelli, ci immette nel flusso della teoria del tutto, sempre molto cara a Platea.
L’universo piange e il suo pianto genera su carta la visione morfologica, le nuvole, di ciò da cui deriva il suo pianto; così come sulla fusione di bronzo di un frammento del busto della scultura “Le Piangenti”, che riprende il modello classico del Lacoonte, con impiantate sulla fronte due grandi foglie d’agave, convogliando la pioggia sulle orbite oculari della scultura e permettendo così la formazione di lacrime verderame, generate dalla reazione della pioggia con ossidi metallici.
Questa scultura sarà esposta in contemporanea all’inaugurazione della mostra nella vetrina di Platea, nel cortile annesso alla Biblioteca Civica del Comune di Lodi, in Via Fanfulla 2.
La mostra di Marco De Sanctis e’ il quarto episodio dedito all’indagine sulla rinegoziazione dei concetti di natura/artificio e natura/cultura, legandoli al territorio lodigiano in chiave di antropologia del paesaggio, dove gli elementi naturali diventano co-autori del lavoro artistico.
L’installazione di Luca Boffi nel 2022 utilizzava una nebbia artificiale per comporre un paesaggio sempre mutevole nella vetrina fino all’offuscamento totale dello sguardo; la scultura di Fabio Roncato nel 2023 utilizzava la forza della corrente del fiume per comporre, tramite lo sversamento di cera fusa nell’acqua, l’acquisizione dei un calco dell’attimo della potenza del fiume; nel 2024 Mariateresa Sartori utilizzava il vento sulle rive dell’Adda per “scrivere” il suo lavoro; nel 2025 Marco De Sanctis utilizza le precipitazioni meteorologiche come matrice morfogenetica e alchemica per il suo lavoro.
Marco De Sanctis (1983, Milano, Italia) vive e lavora a Bruxelles.
Le opere di De Sanctis sono state esposte in mostre personali e collettive sia a livello nazionale che internazionale in sedi come “Sublimated”, Dauwens & Beernaert Gallery, L’Art de Rien, Centrale Brussels, La Chute, Eduardo Secci, Firenze (2022); Appocundria, Dauwens & Beernaert Gallery, Bruxelles (2020); Transatlantico, Mana Contemporary, Jersey City, USA (2019); Les Portes Royales, Art on Paper, Bozar, Bruxelles (2018); Crepusculo, Artissima, Fiera d’Arte, Torino (2018); Ossessione, Palazzo Monti, Brescia (2018); Monographie D’Artiste 10+7, Musée Mediatine, Bruxelles (2017); “à rebours”, Dauwens & Beernaert Gallery (2017); Futuri Interiori, Fondazione Rivoli2, Milano (2016); “shoreline”, Francis Carrette gallery (2015).
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