Marco Sgarbossa 12.nov 2022—11.dic 2022

Marco Sgarbossa 12.nov 2022—11.dic 2022

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Foto: Alberto Messina

STUPOR

Dietro la vetrina di Platea, una macchina è stata installata dall’artista, Marco Sgarbossa, in coincidenza dell’orizzonte visivo dello spettatore. La macchina, realizzata interamente dall’artista tramite stampa 3D e programmata secondo una sequenza numerica, compie un gesto che ci riporta alle memorie infantili: soffiate una dietro l’altra, le bolle di sapone s’infrangono contro il vetro di Platea. Come ci ricorda Sgarbossa, nell’immaginario comune, le bolle rievocano il ricordo di un sorriso, trasportando lo spettatore immediatamente in un’atmosfera di spensieratezza. Nella storia dell’arte invece, le bolle di sapone hanno affascinato per secoli artisti e committenti in quanto simbolo della precarietà e fugacità dell’esperienza umana. Non è infatti raro ritrovare immagini di bambini che soffiano le bolle da una cannuccia di legno e le guardano evolversi affascinati tra le iconografie di memento mori del Seicento e Settecento Europeo, un’epoca sconvolta da particolari rivolgimenti socio-politici.

La macchina sparabolle di Sgarbossa, dunque, si situa fin da subito in un terreno ambiguo tra l’euforia, data dalla fascinazione che generalmente si prova per le forme e sfumature cangianti delle bolle di sapone, e la malinconia di quando, per la prima volta, si assume la consapevolezza di una serie di verità esistenziali. La macchina infatti ora sputa addosso al vetro, ora crea un varco lacrimoso attraverso la vetrina, ora ancora la accarezza con le sue bolle. Quello di Sgarbossa è un gesto di estrema cura goliardica nei confronti dello spettatore. Li espone a una conoscenza della vita e dei suoi imprevisti che non prevedono “il foglietto illustrativo” per essere decifrate, proteggendoli allo stesso tempo dalla conoscenza di una parte della realtà medesima. È necessario, infatti, leggere l’elenco dei materiali nella scheda dell’opera per scoprire che Sgarbossa ha diluito dell’antidepressivo nell’acqua delle bolle di sapone.

Già in lavori precedenti, l’artista ha lavorato con questa modalità che lui definisce attraverso la metafora della punchline. Riferendosi alla struttura tripartita di una battuta di spirito, la punchline è la terza componente che smentisce quando detto in precedenza, generando un senso di disorientamento e stupore in coloro che l’ascoltano. Nella sua pratica, Sgarbossa agisce spesso accostando immagini familiari ad elementi nascosti, il cui disvelamento fa rivalutare l’iniziale comprensione dell’opera stessa.

Coerentemente alla logica che governa la sua pratica descritta finora, Sgarbossa ha deciso di intitolare la sua prima mostra personale a Platea Stupor. Questo termine latino non indica tanto una generale sensazione di stupore, espressione con la quale sono stati ritratti, per esempio, i bambini dei memento mori Seicenteschi, mentre soffiano e ammirano le proprie bolle di sapone. Ma piuttosto, Stupor è un termine usato in medicina per designare uno stato di disorientamento e torpore causato dall’intossicazione da psicofarmaci, droghe, o da traumi celebrali.

Muovendosi agilmente tra le dimensioni dell’apparenza e ciò che la realtà veramente è, tra fenomeno e noumeno per dirla in termini kantiani, Sgarbossa indaga i termini attraverso i quali apprendiamo la realtà. La sua ricerca quindi si pone indirettamente in dialogo con alcune delle questioni che tormentano l’animo umano fin dai tempi più antichi reinscrivendoli in una sensibilità del tutto contemporanea e quotidiana. Come orientarsi in una realtà che pare essere dominata dalle leggi dell’imprevisto, dove ciò che si manifesta inizialmente è destinato a rivelarsi qualcosa di diverso, da lì a poco? Questi sono temi filosofici quanto appartenenti all’esperienza di tutti i giorni che, declinati in varie maniere e discipline, ci accompagnano dai tempi del mito della caverna di Platone. Appannando la visione della vetrina con le bolle di sapone, Sgarbossa sembra lasciarci in balia di una non risposta alla domanda che l’opera stessa pone. Forse, suggerisco, è proprio nel ritrovarci fragili in questa situazione tutti insieme, e comprendendo la vulnerabilità che ci accomuna che infine è possibile ritrovare il senso del futuro che ci aspetta.

Testo di Giulia Menegale

BIO

Marco Sgarbossa vive e lavora tra Venezia e Torino. Possiede una laurea al corso di Arti Visive presso l’Università IUAV di Venezia. Ha esposto il suo lavoro in mostre personali e collettive in istituzioni e gallerie, tra cui: Osservatorio Futura, Torino (IT);  Premio Fondazione Francesco Fabbri, Pieve di Soligo (IT); Premio Combat, Livorno (IT); Spazio Punch, Venezia (IT); Double Room Gallery, Trieste (IT); TBC Organization, Los Angeles (US); Exact Science Gallery, Los Angeles (US).

La sua ricerca si muove principalmente tra installazione, scultura e disegno. Nel suo lavoro impiega materiali talvolta non immediatamente percettibili agli occhi, o che hanno subito processi di alterazione e trasformazione prima di raggiungere il momento dell’esposizione. La dimensione che Sgarbossa è interessato a investigare corrisponde a una realtà complessa, che include fraintendimenti e malintesi. Essa è colma di punti di svolta inaspettati che interrompono e invertono clamorosamente il senso di una narrazione ideale, lineare e condivisa.

CURATRICE

Giulia Menegale è una curatrice indipendente e ricercatrice. Ha completato una magistrale in Contemporary Art Theory presso Goldsmiths, University of London, nel 2020 e una triennale in Arti Multimediali presso Iuav (Università di Architettura di Venezia) nel 2018. Ha collaborato come assistente curatoriale, editoriale e ricercatrice con: Looking Forward C.I.C. (Londra, UK), Castello di Rivoli – Museum of Contemporary Arts (Torino, IT), Island gallery (Bruxelles, BE) e Taryn Simon Projects (New York, US). I suoi articoli sono stati pubblicati da: WCS/CD (Belgrado, RB), Subbcultcha (Amsterdam, NL), Artillery Mag (L.A., US) e altre riviste accademiche. Ha preso parte nelle seguenti residenze e corsi curatoriali: Bagni d’Aria (Torino, IT), Salzburg Summer Academy (Salisburgo, AU), IMMA- Art and Politics Summer School (Dublino, IR), Unidee, Fondazione Pistoletto (Biella, IT) e Ramdom (Lecce, IT). Nel 2020, ha co-fondato un collettivo transnazionale c-c-q (Collective for Constant Questioning) e una piattaforma online (www.c-c-q.com) che si occupa di investigare la pratica curatoriale attraverso una serie di interviste con curatori di fama internazionale.
Avvalendosi di una prospettiva intersezionale ed elaborando un’analisi della realtà attraverso la teoria degli affetti e l’analisi istituzionale, la ricerca di Menegale si focalizza sul valore epistemologico delle emozioni negative e il loro ruolo potenziale nei processi di formazione del soggetto, al di là di paradigmi sociali portanti, interiorizzati dal singolo.

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